Testimonianze dal confino – Il progetto secondo i tirocinanti

• Choros Comunità •

Guardala là, guardala là come sbadiglia.

Dopo quasi due mesi con la webcam rotta (puntualissima, dopo dieci giorni dall’inizio del lavoro da casa, mi ha lasciata al buio) Mimmo, nonostante la decina abbondante di piccoli visi sul suo schermo, mi becca in una disattenta debolezza pomeridiana e mi ricorda che finalmente la webcam nuova è arrivata e che anche loro possono vedermi. 

Per molte settimane io potevo guardarli negli occhi mentre loro potevano leggere il mio nome in bianco su uno schermo nero. 

Il mio tirocinio con Choròs è iniziato a settembre. Un primo periodo di riunioni di équipe, dove la mia testa si è riempita di nomi di persone, spettacoli, collaboratori… ma sopratutto delle persone dei laboratori del mercoledì pomeriggio, gli abitanti: “i Signori”. Sono entrata a novembre, in punta di piedi, in laboratorio e mi hanno accolto con una semplicità disarmante; hanno fatto un passo indietro per allargare il cerchio, una decina di sorrisi di incoraggiamento e finalmente tutti questi nomi hanno iniziato ad avere un viso e una voce.

E in questo tempo sospeso, i loro visi e le loro voci, hanno risuonato forte (anche di volume e prospettiva nella fotocamera) negli strumenti tecnologici che abbiamo suggerito e che loro hanno saputo utilizzare con dolcissima e ostinata determinazione. Lettere dal confino è stata la proposta: un racconto del nuovo quotidiano, sotto forma di lettera, che abbiamo poi ascoltato in silenzio e lasciando lo spazio dello schermo all’autore, ogni mercoledì pomeriggio, come se ancora fossimo al Teatro Marchesa. 

Lo schermo nero, mi ha permesso di guardare i loro visi con intensità e curiosità come normalmente non è concesso fare, almeno non senza mettere l’altra persona profondamente a disagio. Nonostante fossero molto oltre la loro zona di comfort, l’intensità delle parole che riempiono il teatro a ogni laboratorio, è stata mantenuta; abbiamo scoperto una nuova forma che non verrà dimenticata e una voglia di restare e continuare che è commovente, per me, che mi innervosisco se la pagina internet ci mette troppo a caricare o se il PC ha bisogno di fare gli aggiornamenti. 

Tra qualche settimana torneremo in teatro, faremo un cerchio ancora più grande e spazioso del solito e ci abbracceremo con lo sguardo prima di rimetterci al lavoro, duramente a lavoro!

Dopo averlo studiato da angolazioni diverse all’università, ho avuto modo di di fare un’esperienza dal vivo di quanto sia importante esprimere in parole i pensieri, le emozioni e tutto il variegato tumulto affettivo che è stato scatenato da questa nuova quanto inaspettata situazione di crisi legata all’epidemia da Covid-19.

Il fatto che questo primo contatto con l’espressione intima del sentire umano sia avvenuta a distanza con la mediazione della tecnologia ha lasciato pressoché intatta la profondità del suo impatto e la possibilità di cogliere la varietà delle sfumature dell’intimo umano.

Il discorso condiviso permette di dare un significato e un senso al vissuto che altrimenti rimarrebbe un muto  disagio interiore.

Un caloroso grazie al gruppo di “veterani” di Teatro comunità per la loro capacità di aprirsi e di esprimersi con parole e a volte anche versi densi di significati genuini, segno di un cuore rimasto giovane e di una mente che vuole rimanere resiliente.

Sicuramente gli anni di lavoro teatrale col metodo di Teatro comunità hanno contribuito a sviluppare cuori e menti in grado di sostenere e gettare uno sguardo “ideativo” oltre le difficoltà e i turbamenti del momento.